sábado, 10 de julho de 2010

prefácio de Eligio Resta

O texto que segue é o prefácio do Eligio Resta para meu livro: DA JURISDIÇÃO À MEDIAÇÃO: POR UMA OUTRA CULTURA NO TRATAMENTO DE CONFLITOS que foi publicado essa semana pela Editora UNIJUÍ (http://www.unijui.edu.br/). Mantive a língua original como meio de recordar o belo período de estudos na Itália. Vale a pena a leitura, como sempre, o Elígio surpreende!

Prefazione


Il saggio di Fabiana Marion Spengler è di notevole interesse: rappresenta, nei contenuti e nel “tono” del discorso, un esempio virtuoso di approccio alla questione della mediazione dei conflitti soprattutto se comparato ai tanti lavori che in questi anni sono stati prodotti.
L’interesse deriva da alcuni motivi di fondo. Il primo riguarda la giusta misura tra una dimensione progettuale delle istituzioni della mediazione, concreta, operativa e gli aspetti teorici di fondo senza i quali non si va da nessuna parte. Questo significa che alla mediazione bisogna guardare come a un meccanismo interno alla “sfera pubblica” dentro la quale i processi comunicativi si realizzano; e non v’è dubbio che i conflitti siano processi comunicativi, sia pure con alto tasso di distruttività, come Fabiana Spengler ha messo bene in evidenza. Per natura e tradizione, dunque, la mediazione dei conflitti va collocata all’interno di una sfera pubblica non statuale dove gli antagonismi si svelano come comunicazione. Del resto non a caso, la filosofia hegeliana (Rechtsphilosophie) aveva posto le istituzioni del conflitto nell’ambito della “società civile” e non nella sfera dello stato. Progettare allora istituti della mediazione significa costruire dimensioni della sfera pubblica disponibili a elaborare, dove possibili, i conflitti e capaci di riattivare comunicazioni non distruttive. Non meravigli allora che lo sguardo vada rivolto con attenzione alla progettazione: se ne parla da qualche tempo anche in riferimento ad un modello meno conosciuto che è quello dei “mediatori morali”, rappresentati da istituzioni, spesso di natura morale e culturale, capaci di orientare il conflitto verso esiti positivi in termini di etica pubblica. L’esempio che si può fare è quello del rispetto dei diritti umani, dalla cui violazione nasce un risentimento pubblico difficile da assorbire: mediatori morali sono istituzioni che ricordano, strutture pronte a ascoltare e canalizzare il risentimento, a trasformare in scelte positive di etica pubblica un potenziale di sentimenti negativi. E vanno progettati a seconda della natura dei conflitti, delle forme delle identità, della permeabilità della forme politiche al cambiamento. In una parola la mediazione morale è strumento di metanoia, per usare la vecchia formula aristotelica. I nomi della “progettazione” non sono per caso, né sono insignificanti: aedificatio, nella filosofia stoica, che vuol dire costruire case, templi, luoghi istituzionali adeguati perché si realizzi metanoia, trasformazione dall’interno, è uno di questi nomi. Significa predisporre la sfera pubblica alle possibilità di quella che è stata definita “etica della comunicazione”, il che non va confuso con nessuna obbligatorietà.
Il dove, il come, il quando delle istituzioni della mediazione non può essere separato da una profonda riflessione teorica sui significati e sulla dimensione profondamente filosofica che il tema coinvolge. Qui ovviamente la questione va sciolta attraverso gli innumerevoli passaggi che la mediazione coinvolge e che nel saggio di Fabiana Spengler sono consapevolmente presenti. Si pensi soltanto al fatto che, a partire dalla filosofia greca, la mediazione coincide, da una parte, con lo spazio del pensiero, dall’eros mediatore del Fedro di Platone alla “rappresentazione” di Kant che è mediazione verso l’idea; dall’altra con la grande elaborazione della morale, da Aristotele a Rawls, che guarda alla mediazione come allo spazio inter-medio che è quello dello Zwischenmenschlich (infra umano). Ed è la mesotes aristotelica a indicare, non a caso, la dimensione delle virtù nicomachee, a ricordarci il carattere di etica pratica della mediazione.
La consapevolezza della profondità filosofica del tema della mediazione dovrebbe farci provare ri-spetto per questo processo che è teorico per costituzione e che non può essere volgarizzato in una pratica vuota del senso comune. Anzi, rispettarne lo spessore significa arricchire enormemente il campo delle sue possibilità: io stesso che da molti anni ho cercato di ragionare sul problema, ho scelto di accostarmi alla mediazione attraverso gli strati di senso che la “parola” condensa. E gli strati di senso sono davvero tanti e profondi e poi si sa che le parole non sono per caso: così ho potuto rielaborare la dimensione spazio-temporale della mediazione come processo comunicativo assieme alla sua forma ermeneutica, accanto alla sua fenomenologia geo-politica. E il lavoro di F. Spengler ha fatto un uso molto attento di tali ricostruzioni.
Ma la dimensione teorica del “ri-medio”, che deve molto alla sapienza ippocratica (oggi diremmo “immunitaria”), rimane vuota se lo sguardo non si affina sull’idea di conflitto che l’accompagna. E anche qui la profondità teorica è una sonda potente capace di scavare nei tanti linguaggi che intorno ad essi si sono sedimentati, prima ancora che nascesse un “sapere” sul conflitto. Questo è il secondo motivo di interesse del saggio di F. Spengler. La ragione sta nel fatto che il sapere collettivo sul rimedio del conflitto, con un’operazione che sa di entparadoxierung (deparadossizzazione), si è andata depositando nella forma “monopolistica” del diritto e del suo giudice: come se il destino del conflitto fosse esclusivamente, universalmente e per sempre il diritto. Questo significa far torto al diritto, che diventa competente su tutto e, per questo, sfiora l’inanità; mia preoccupazione, nell’ottica di un diritto fraterno, è quella di sottrarre alla “decisione” aspetti dell’affettività, dell’identità che invece devono trovare spazio in altri luoghi e altre dimensioni della sfera pubblica. Per questo il libro di F. Spengler affronta con puntualità la “frase affetto” che attraversa i conflitti familiari e identitari connessi alla presenza di coniugi, bambini che sono “soggetti” in carne ed ossa prima di essere soggetti giuridici.
Vi è infine un terzo motivo di interesse nel saggio che presentiamo. Questo attiene molto di più ai vissuti personali, alle biografie: questo libro rappresenta un altro dei risultati concreti di uno scambio culturale, che io ritengo fervido, fra la cultura brasiliane effervescente, ricca, attenta, e alcuni luoghi della vecchia Europa, come le università romane. Basta per tutti l’esperienza centrale di Sandra Martini Vial ed Eros Grau. Lo scambio culturale che si è realizzato in questi anni è stato sempre positivo per il confronto franco e attento che si è instaurato, proprio grazie alle diverse identità che sono entrate in contatto. Il libro di cui parliamo è un esempio eccellente: i mediatori morali sono stati un veicolo discreto e intelligente.


Roma, Gennaio 2009.

Eligio Resta

Nenhum comentário:

Postar um comentário